Mineo, addio al Cara degli scandali

  • 9 anni fa
Vivien, col pancione, farà in tempo a partorire qui il suo Marvelous (Meraviglioso, come dev’essere il futuro se riesci a sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani in Nigeria). Aisha no, sta già andando via, in un centro più piccolo: stazza da lottatrice di sumo, lottando è scampata al naufragio del suo barcone davanti alla Libia («se pensavo “muoio” non stavo qui adesso, così ho pensato “vivo!”... E sono una cuoca, farò la cuoca da voi»). S’è svuotato già per metà il Cara di Mineo, che è pure il Cara delle trame di Odevaine, delle gare contestate, dei guai dell’alfaniano Giuseppe Castiglione. Ed è solo l’inizio: meno di duemila sono ormai i rifugiati, almeno duecento saranno i dipendenti licenziati da adesso alle prossime settimane; la Prefettura ora stacca la spina recidendo il rapporto col Consorzio che gestisce il centro d’accoglienza. I tempi in cui si gonfiavano di nuovi arrivi queste villette a 50 chilometri da Catania (e di assunzioni pilotate gli organici) sembrano preistoria. «Vogliono chiuderci, la volontà politica è chiara»: l’addio è impresso sulla faccia alla Gandolfini di Sebastiano Maccarrone, che qui è il direttore dal primo giorno di quel fatidico 2011 in cui Berlusconi dichiarò l’emergenza Nord Africa e benedisse questo centro, il Residence degli Aranci. «Sarà il più grande esempio d’accoglienza d’Europa!», proclamò il Cavaliere allora premier. È stato solo il più grande scandalo: se gli intrugli sui migranti fossero un’epidemia, Mineo sarebbe il paziente zero. Quattro Procure ci indagano su. Roma e Catania per Mafia Capitale, Palermo per tratta di migranti. Caltagirone per compravendita di voti: lo ha svelato alla Commissione parlamentare guidata da Gennaro Migliore il procuratore Giuseppe Verzera riferendosi all’elezione di Anna Aloisi, sindaca di Mineo, il paesone che dalla collina domina il Cara; ma ipotesi di reato come abuso d’ufficio, corruzione o persino voto di scambio possono lambire almeno una mezza dozzina di politici e investire il Consorzio «Calatino Terra d’accoglienza» che ha tenuto assieme finora nove Comuni della zona: si narra di mozioni orientate nei consigli comunali e perfino di posti al Cara in cambio di scranni d’assessore. Il Consorzio va spiegato: è un unicum in Italia. Ovunque la gara d’appalto per la gestione di un Cara viene indetta dalla Prefettura. Qui, e solo qui, si inserisce un terzo soggetto nello schema: la Prefettura si convenziona con un Consorzio territoriale creato ad hoc a dicembre 2012 (il primo presidente è proprio Castiglione) cui vengono peraltro versati 40 centesimi al giorno per ciascun migrante ospitato (fiumi di quattrini finiranno in feste di paese) ed è il Consorzio poi a trattare con imprese e coop. Difficile fugare i sospetti di clientelismo: i Comuni calatini passano da una decisa ostilità contro il centro a una commossa solidarietà verso i migranti («prima protestavano, mo’ se provi a toglierglielo t’ammazzano!», ridacchia Luca Odevaine, intercettato). Guia Federico, da due anni prefetto di Catania, ha definito un «mostro a tre teste» il Cara così concepito. E ora, su sollecitazione di Mario Morcone, responsabile dell’immigrazione per il Viminale, prepara lo strappo. Con una commissaria — Maria Nicotra — che s’è dimessa per «ragioni di salute» due settimane dopo la nomina, due amministratori designati dal tribunale di Roma per due coop coinvolte in Mafia Capitale, cinque Comuni su nove hanno deciso di mollare, nel caos. Altri quattro, Mineo in testa, resistono. «Se non si sciolgono loro, ci sciogliamo noi da loro», ha detto al suo staff Guia Federico. Ha chiesto il supporto dell’Avvocatura. A breve verrà risolto l’accordo di programma col Consorzio «per motivi di interesse pubblico», subentrerà una struttura di missione della Prefettura, andrà infine rifatto l’appalto (irregolare, secondo Raffaele Cantone). Il Cara per allora potrebbe chiudere o trasformarsi in hot spot (permanenze brevi, smistamenti rapidi). Ma la rilettura della sua storia prefigura ulteriori sconquassi. L’assunto non troppo segreto della Commissione d’inchiesta presieduta dal pd Migliore è che in mezzo agli aranceti del Calatino sia stata messa in piedi una «holding della disperazione» sull’onda dell’emergenza dichiarata a febbraio 2011 (Lampedusa era al collasso). «Si è avuta la percezione che la Sicilia fosse individuata come la terra nella quale dovessero essere concentrati tutti i richiedenti asilo d’Italia», sostiene Migliore: «Sull’immigrazione il laboratorio di Mafia Capitale parrebbe Mineo». In Sicilia lo Stato avrebbe in quel 2011 la disponibilità della base di Comiso. «Ma è devastata, inagibile», si dice. Dunque il governo punta sul Residence degli Aranci, proprietà della società Pizzarotti, che proprio allora gli americani della base di Sigonella stanno mollando. Odevaine, poi assurto addirittura a membro della commissione aggiudicatrice, in un’intercettazione, ovviamente da prendere con le molle, butta lì: «Credo che Letta, lo zio, fece un piacere a

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